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      I dilemmi della logica si riproducono nei trattati di pace, e pongono ogni trattato nell'alternativa di una doppia assurdità. I trattati obbligano? dobbiamo noi osservare la promessa accettata dal nemico? evidentemente i trattati sono sottoscritti quasi tutti sotto l'impero del terrore, al seguito di una sconfitta; sono concessioni strappate dalla prepotenza fortunata; se obbligano, è la forza che obbliga. I trattati sottoscritti sotto l'impero del terrore sono nulli? Allora la guerra sarà eterna. Eccoci nell'alternativa del regno della forza o della guerra eterna. Il dilemma abbraccia tutte le conquiste; se sono illegittime bisogna annullare la storia, se sono legittime, convien riconoscere il diritto del più forte. Spetta ancora alla doppia rivelazione dell'interesse e del dovere a toglierci al contrasto della fatalità storica colla libertà dell'uomo. La libertà, noi l'abbiam visto in astratto, è indeterminata; in atto, è la nostra vita; in astratto siamo tutti liberi, sovrani, eguali; in atto, ci lasciam vincere dal dolore, dal piacere, dal carattere, dal pensiero, dagli uomini che ci stanno intorno. Ora il vinto si de moralizza, s'umilia, diviene schiavo, perde la metà della sua ragione, può amare la propria servitù: quest'interesse può determinare il patto della conquista. Per sè la conquista non istabilisce alcun diritto: pure se dopo la conquista il vincitore regna in pace, se nessuno protesta contro l'invasione, se la nazione vuol vendersi, alienarsi, trafficar la propria dignità, se preferisce subire la conquista all'idea di animare la plebe colla partecipazione dei beni, se preferisce il tiranno domestico a una vittoria di popolo ribelle, o all'alleanza di un popolo liberatore, d'un popolo che coll'indipendenza apporti anche la libertà; se il vinto cerca di regnare rassegnandosi alla conquista, la conquista si stabilisce tacitamente, divien giuridica, diviene un patto sociale, e si trova naturalizzata.


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Filosofia della rivoluzione
di Giuseppe Ferrari
1851 pagine 693