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      Quindi tutte le vittorie amnistiate, quindi stabilita a priori la moralità del conquistatore, quindi sdegnato ogni sforzo del vinto qual fatto anormale ed ingiusto, quindi una lunga serie di ragionamenti in cui la dialettica s'infiltra ne' fatti per mostrare nella fatalità il trionfo della ragione. Che dice? Si fece del vincere e dell'esser vinto un'astrattezza; e una volta congiunta la vittoria col diritto, si volle mantenere il diritto eterno nella vittoria, e si finì col negare l'essenza stessa del diritto, che consiste nel disprezzare la forza. Qui, come dovunque, la metafisica, animata da un'idea liberatrice, affidandola alla logica, rimaneva impotente. Essa proponevasi di succedere alla religione, voleva trovare nella ragione il principio che santificava la vittoria, voleva sostituirlo al giudizio di Dio, per cui nel medio-evo la vittoria scioglieva santamente i problemi della civiltà e riuscì a proclamare il diritto della vittoria senza un Dio che lo confermasse, senza il vero diritto rivelato che lo sanzionasse: in fondo, non proclamò se non il diritto della vittoria, poi il diritto del più forte, in ultima analisi il diritto del papa, dell'imperatore e dei re. D'altra parte un sistema più generoso afferrava l'essenza stessa del diritto, non teneva conto del fatto, disprezzava la barbara decisione della forza, e prendeva le difese dei vinti. Quindi una nuova dialettica che dissotterrava i titoli di tutti i popoli sconfitti e disfatti; quindi negata ogni vittoria e avviluppata nei cavilli eterni di una protesta metafisica; quindi messa in dubbio la storia, e la filosofia trasportata fuori del campo dei fatti, dove noi vediamo i vinti domati, diventar servi di diritto, amare le lor catene, portarle quasi ornamenti, e combattere chi volesse infrangerle.


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Filosofia della rivoluzione
di Giuseppe Ferrari
1851 pagine 693

   





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