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      Descartes attribuiva al suo metodo tutte le sue scoperte nelle matematiche. Quando l'esagerazione dei metodi scompare presso i filosofi del secolo decimottavo, più non si parla se non di mutar l'uomo, di rifarlo, d'innovare la educazione, le leggi, i governi, la società; e la stampa si affatica nel celebrare gli inventori, nè si stanca di esaltare i novatori. Così la sapienza antica trovasi intervertita, la nostra saggezza non vuol censori, non inquisitori; la nostra vita si affida al principio della libera concorrenza degli istinti, riposa sull'ipotesi che, lasciato l'uomo al suo pendio, lasciata l'industria alla sua libertà, abbandonata la discussione a sè stessa, si giunga naturalmente al vero, al bene, al giusto: ogni nostro lavoro, ogni nostra invenzione, ogni nostra instituzione non tende se non a raddoppiare il moto già celere che ci avvia nella libera carriera tracciata dagli istinti, dalle idee, dalle vocazioni. Ora la vita moderna, qual si rivela nella nostra società, respinge con disdegno la religione di Cristo. Se guardiamo gli astri, la via lattea, Sirio, i gruppi delle nebulose svolgono dinanzi a noi l'universo in una sì sterminata vastità, che la redenzione di Cristo vi rimane perduta sovra un atomo di sabbia. Se guardiamo alle nostre istituzioni, il sacerdote cristiano ci ricorda la censura degli antichi; in ogni modo la rivelazione della vita si congiunge colla rivelazione degli esseri per pronunziare la decadenza del cristianesimo.
      Fin qui abbiam consultato il vero, abbiamo ascoltata la voce della vita: havvi di più; dobbiamo intendere la voce della giustizia.


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Filosofia della rivoluzione
di Giuseppe Ferrari
1851 pagine 693

   





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