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      La morale de' metafisici esce dal sillogismo, non è determinata dalla vita, nè dalla coscienza; sarà sublime, ma non è vivente, non è possibile; quindi in presenza dei credenti il metafisico deve fallire. La scienza gli manca. non può agire, non è padrone di produrre effetti sensibili, di dar segni della sua missione, non può esser giudicata dall'opera. Vede il culto onnipotente difeso dal governo, dagli interessi dei potenti, dall'ignoranza dei popoli; non ha la scienza che si sostituisce al culto, che oppone i fatti ai fatti, la storia alla leggenda, gli interessi positivi agli interessi imaginari; non sente un dovere imperioso, sente uno scoraggiamento profondo. Il perchè l'antica metafisica proclamava tutti i doveri, eccetto quello che impone di dire la verità, accada quel che sa nascere: essa predicava una morale di cui non proclamava la verità. La verità era troppo terribile, il martirio troppo inutile; a chi profittava? Quindi negavansi gli Dei e rispettavansi i sacerdoti, negavasi la religione e non si pensava ad abbatterla, spegnevasi la luce perchè troppe erano le tenebre.
      La metafisica non sapeva neppure rendersi ragione della propria sterilità, perchè si sapeva solitaria, non si sapeva nemica della scienza e condannata a starsi inutile tra la scienza e la religione. Quando i metafisici parlano della loro propria impotenza, vaneggiano: accusano la bassa plebe dei mortali, a loro dire, incapaci di reggere all'altezza dei loro concetti; si dicono esseri privilegiati, sfoggiano i lunghi studi, il linguaggio tecnico, la sottigliezza perseverante del riflettere, e van superbi della loro solitudine.


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Filosofia della rivoluzione
di Giuseppe Ferrari
1851 pagine 693