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      Se conoscesse i suoi responsi ne sarebbe sgomentato, la sua inspirazione non sarebbe rassicurata, i sacerdoti del tempio gli toglierebbero la parola, e appunto perchè inconsapevole ed anzi servile Vico nell'atto in cui solo credevasi interprete del mondo antico, contemplatore di rovine neglette, di ricordanze svisate, di miti più volle alterati a traverso epoche distinte, appunto perchè voleva dimenticare il presente per intendere il passato quasi a sua insaputa parlando dell'antichità spiegava il medio evo e nelle sue opere gli Dei di Omero diventavano i santi del cristianesimo, e il pontefice sommo dell'antichissima repubblica rinasceva papato dei moderni, e dicevansi tutti i popoli destinati a cadere ed a sorgere eternamente, adorando i medesimi fantasmi, e cadevano cosi i pontefici, i re, gli imperatori sotto il dominio della Scienza Nuova.
      Pure la filosofia della storia era troppo grande, perchè fosse concesso ad un solo uomo di rappresentarla al suo sorgere, e doveva come la filosofia, sempre scissa nel contrasto di due opposti sistemi, aver anch'essa il suo Democrito, e il suo Eraclito, il suo Aristotele e il suo Platone. Un altro uomo era compagno della grandezza di Vico.
      Nacque difatti Pietro Giannone(1) nella stessa città, ebbe i medesimi amici, lodò gli stessi uomini lodati da Vico, visse nel medesimo tempo, morì quattro anni dopo, e la sua sorte non fu meno straordinaria, meno inaudita, e ci presenta il paradosso di non essere nè amico, nè nemico dell'illustre suo concittadino, di non conoscerne il genio, di non sospettarlo, ed i due sommi muojono senza citarsi una volta, tanto la fatalità voleva, che ognuno fosse interamente all'opara sua, assolutamente soggiogato nel sonnambulismo della propria idea.


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La mente di Pietro Giannone
Lezioni
di Giuseppe Ferrari
Tipografia del Libero Pensiero
1868 pagine 187

   





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