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      Vede egli le correlazioni tra i normanni del mezzodì e gli arcivescovi capi dei tumulti di Lombardia, tra il re Ruggiero e i consoli delle città libere, tra Federico di Svezia e i podestà lombardi, tra la lotta di Carlo con Manfredi e quella dei Guelfi coi Ghibellini di ogni altra provincia, tra la signoria di Roberto e quella dei Visconti, tra le conquiste di Ladislao e quelle dei Malatesti o di Facinocane, tra gli Aragonesi delle Due Sicilie e la nuova dinastia degli Sforza signori di Lombardia, Genova e Corsica? Indovina egli che tanto moto e si sbrigliate vicissitudini siano idealmente sincroni popolari e tali da imporre ai capi, ai re, ai pontefici ogni loro risoluzione, ogni loro vittoria? Poco conosce le rivoluzioni di Roma, nulla quelle del Nord.
      Abbiamo detto che egli metteva ogni sua speranza nello studio delle leggi, e ne lo abbiamo lodato perchè ogni esordio merita encomio: ma anche qui egli non afferra nè i principii, nè le epoche, nè i moti razionali che trasformano le Due Sicilie. Si limita all'enumerazione delle diverse leggi promulgate dai Longobardi, dai Franchi, dai Normanni, dagli Svevi, dagli Angioini; e serve la sua storia piuttosto da manuale per l'avvocato che di guida per il filosofo. Come mai ravvisare l'idea episcopale dei Normanni, o i Guelfi e i Ghibellini di Carlo e di Manfredi nell'indicazione di poche leggi di diritto civile e feudale, di poche disposizioni sugli usurai o sui conventi, di pochi decreti che il vento delle rivoluzioni avvicenda sui punti secondarii del codice?


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La mente di Pietro Giannone
Lezioni
di Giuseppe Ferrari
Tipografia del Libero Pensiero
1868 pagine 187

   





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