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      Secondo Giannone la prima alterazione del culto cominciò quando s'introdussero nelle regioni del cielo esclusivamente riservate agli Dei anche gli uomini chiari ed illustri. "Allora, dice egli, si credette Ercole nato da Giove e Semele; i gemelli tindaridi Castore e Polluce furono trasportati in cielo, si adorò Ino figlia di Cadmo, e di Romolo di cui Ennio cantò:
      Romulus in coelo cum Diis agit aevum
     
      e di tanti altri uomini non meno che di donne illustri si pensò che dopo la loro morte volassero fra gli dei celesti. Cicerone scrive che Ferecida fosse stato il primo a confermare per iscritto l'opinione che le anime degli eroi fossero sempiterne ... Questo fu maestro di Pitagora al quale istillò i medesimi sentimenti che egli rese più diffusi e splendidi dapertutto per la sua gran fama che si acquistò, ispezialmente in Italia ed in tutto l'orbe allor conosciuto. Tal opinione passava dalla Magna Grecia ai Romani; questi tanto ammirarono Pitagora da crederlo poi il maestro di tutti i sapienti e da far dello stesso Numa Pompilio un suo discepolo. Platone che più tardi visitò gli istituti Pitagorici ne adottò le dottrine, le abbellì e le esagerò colla sua imaginazione.
      Di qui nacquero non meno in Grecia che in Roma le tante favole ed illusioni delle quali seppero ben profittarsi gli artisti ed audaci preti. Quindi le favolose descrizioni di questo fantastico ed imaginario regno celeste e delle sedi gloriose di questi eroi rilucenti di fiamme in mezzo di uno splendidissimo candore, d'onde scoprivano la grandezza e moti degli astri, la piccolezza della terra a guisa di un punto nel centro del mondo, fingendosi il sistema dell'universo a lor capriccio, e tutt'altro di quello che ci dimostra una più esatta ed accurata astronomia.


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La mente di Pietro Giannone
Lezioni
di Giuseppe Ferrari
Tipografia del Libero Pensiero
1868 pagine 187

   





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