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      Rimproverate pure allo storico napoletano di starsi rinchiuso nei limiti dell'erudizione greco-latina, d'ignorare l'Oriente, la China, l'America in un'epoca in cui tutti cercano avidamente lo spettacolo della sconosciuta civiltą, e di meditare come se vivesse al secolo XVI, senza neppur indagare qual religione sia inaugurata nella vicina Bisanzio. Ma quale cognizione aveva Vico dell'India? qual idea formavisi della China? Aveva egli almeno letti gli scritti di missionari? qual profitto traeva da tante relazioni sui popoli dell'America? Quale studio faceva sulle diverse storie e mitologie della stessa Europa? Viveva anch'egli come un contemporaneo del cardinale Bessarione.
      Si puņ censurare la filosofia di Pietro Giannone, e dirla molle e latitudinaria, troppo contenta degli atomi di Epicuro e dei primi erudimenti di Bacone, troppo inferiore a Leibnitz ed a Locke, egualmente incapace di astenersi risolutamente dall'ontologia e di affrontarne i tenebrosi misteri. Si puņ asserire che la sua psicologia troppo rozza e infantile lascia oscuro il periodo primo e decisivo delle origini, per cui non si sa se sorga questo davvero col primo gioco delle facoltą intellettuali, nč come la statua pensante si formi i primi concetti del diritto, delle religioni e della societą, nč con qual processo passi d'idea in idea, di sistema in sistema.
      E qui spieghiamoci chiaramente. D'onde viene secondo lui la prima sapienza di Mosč, di Licurgo, di Romolo che egli crede simile a quella di Tito Livio o di Plinio il naturalista, di Bacone o di Gassendi?


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La mente di Pietro Giannone
Lezioni
di Giuseppe Ferrari
Tipografia del Libero Pensiero
1868 pagine 187

   





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