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      Suo figlio Giovannino passeggiava, correva e spendeva cogli amici e compagni quel brio giovanile che sembra dato dalla natura alla prima età dell'uomo per fargli conoscere lo spazio misuratogli dal suo destino. Ingenuo, risoluto, vivacissimo, a dieci anni era fuggito da una zia di Vestì per raggiungere la madre a Napoli: maltrattato dallo zio Carlo e chiesto dal padre a Venezia, era diventato l'idolo della casa Pisani, e a Ginevra vagava qua e là, amato da tutti. A poco a poco diventa compagno intimo di un giovane piemontese; brutto, diforme, guercio dell'unico occhio lasciatogli dalla natura, ma gioviale, animoso, alla buona, facile ad affezionarsi, e già da lunghi anni familiare della casa Chenèvè che lo aveva esperimentato ottimo uomo.
      Benchè rozzo e senza lettere, diventa esaltato ammiratore del padre di Giovannino, lo onora, lo frequenta, gli prodiga ogni servitù, lo sbalordisco con cento elogj, si sforza di studiare le sue opere, e ottiene il di lui ritratto come il più prezioso dei doni. Poi crescendo l'intimità, gli offre iteratamente l'ospitalità nella sua casa dì Vesenà sulla riva piemontese del lago di Ginevra, dove il Chevènè era stato cento volte, e dove Giovannino si reca presto anch'esso a diporto. La gita era un incanto, il soggiorno una festa, e all'approssimarsi di Pasqua il buon piemontese persuade a Giannone che facendo le sue devozioni lontano dall'eretica Ginevra, in quel villaggio tutto cattolico e sabaudo, si concilierebbe la benevolenza dei fedeli e forse il loro perdono.


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La mente di Pietro Giannone
Lezioni
di Giuseppe Ferrari
Tipografia del Libero Pensiero
1868 pagine 187

   





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