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      Spesso sparge la nuova della sua morte, spesso teme altresì di vederlo ricomparire, e spaventato dalla concessione del re che gli permette di corrispondere, cade in tenerezze finte, che muovono a nausea.
      Giudicate, o signori, qual fosse lo strazio del prigioniero, ridotto all'impossibilità di soccorrere i suoi contro la più estrema povertà. Inutilmente egli perora; appena egli ottiene che sia pagata la pensione alle povere recluse del convento; sia necessità, sia debolezza, non revoca la procura, e quattro anni più tardi, nel 1745, è ancora in lotta col fratello, che ritira un suo capitale senza i riguardi dovuti ai debitori e senza le garanzie dovute alla famiglia. Nessuno de' suoi numerosi amici ed ammiratori osa dargli segno di vita; tutti tremano o stanno ammutoliti; Giovannino resta solo a consolarlo; a parlargli della madre e della sorella, delle loro lagrime, delle loro speranze. Neppure Angela Castelli gli scrive poichè la regola lo divieta, e forse come la moglie di Vico era analfabeta; ma colla forza dell'affetto la sua imagine penetra silenziosamente nella carcere dello storico di cui raddoppia i dolori. Noi conosciamo le commozioni da lui risentite, noi vediamo il suo pianto osservando la minuta delle risposte a Giovannino; e quando riscontra una lettera che gli apprende come Angela avesse respinto il raggiro di Carlo, che aveva tentato di darle marito, le cancellature si moltiplicano sotto la sua penna, non sa trovare le espressioni, e appena riesce a dire, che se un giorno sarà libero, egli troverà modo di ricompensare tanta virtù. Gli è certo che l'ottima donna tutta assorta nel pensiero dell'amico lontano era da tutti amata; lo stesso tiranno della famiglia la rispettava, le monache la soccorrevano a gara prima facendola loro portinaja poi dandole il più alto segno di stima col nominarla loro badessa.


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La mente di Pietro Giannone
Lezioni
di Giuseppe Ferrari
Tipografia del Libero Pensiero
1868 pagine 187

   





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