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      Ed ecco pienamente convenire a questa, che mi pare giustissima deduzione, quei detti di Beatrice quando ricorda che Dante (Purg. Can. XXX)
     
      v. 115. «... fu tal nella sua vita nuovaVirtualmente, ch'ogni abito destro
      Fatto averebbe in lui mirabil pruova.
      Ma tanto più maligno e più silvestroSi fa il terren col mal seme, e non colto,
      Quant'egli ha più di buon vigor terrestro.
      Alcun tempo il sostenni col mio volto;
      Mostrando gli occhi giovinetti a lui,
      Meco il menava in dritta parte volto».
     
      Perchè appunto, mentr'ella visse, Dante ispirato dal caldo amore di lei, seguendo i suoi buoni studii, cantò quelle dolci e sante canzoni, il cui bello stile lo aveva levato in fama di poeta.
      Vi si addicono quelle altre cose parlate appresso dalla medesima angelica creatura, e cioè che Dante, quando essa fu morta, cadde giù tanto che
     
      v. 135. «.... tutti argomentiAlla salute sua eran già corti,
      Fuor che mostrargli le perdute genti.
      Per questo visitai l'uscio de' morti,
      Ed a colui (Virgilio) che l'ha quassù condotto,
      Li prieghi miei, piangendo, furon porti».
     
      E prosegue al Canto XXXI rivolta sempre a Dante
     
      v. 32. «.... Per entro i miei disiri.
      Che ti menavano ad amar lo beneDi là dal qual non è a che s'aspiri,
      Quai fosse attraversate, o quai cateneTrovasti, perchè del passare innanzi
      Dovessiti così spogliar la spene?
      E quali agevolezze, o quali avanziNella fronte degli altri si mostraro,
      Perchè dovessi lor passeggiare anzi?»
     
      Le quali parole se sono dirette a rimproverare le passioni terrene a che Dante s'arrese poich'ella fu passata a più lieta vita, fanno sovvenire ben tosto ch'egli si diede a loro dimenticando il bene a cui Beatrice, vivendo, lo teneva rivolto.


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La religione e la politica di Dante Alighieri
di Paolo Ferroni
Utet Torino
1861 pagine 85

   





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