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      E questo essere rivolto Dante al sommo Bene tenendosi stretto a Beatrice non si può contrastare che non si possa anche interpretare per quelle dolcissime poesie che egli compose, lei amando, mentre fu in vita; le quali Dante nel suo Convito ci palesa quante aspirazioni contengano al Bene divino, che è Dio, e come esse fossero mistiche scritture dirette alle cose eterne. Però sarebbe venuta a dire qui Beatrice che come allora, intanto che lei amava, Dante teneva gli sguardi al cielo e cantando si onorava, così dopo la morte di lei, quando in essa poteva più veramente cantare la beatitudine celestiale, egli molto maggiormente doveva seguire la onorata via che aveva presa. Invece scordando lei da quella via si era tolto, e tanto era caduto dalla elevatezza a cui montava, che oramai finiva ogni speranza ch'egli fosse risalito; perchè il suo cuore in dieci anni di basse passioni fatto aspro e silvestro non poteva più accogliere il dolce seme dello squisito amore da cui germogliarono fiori così soavi, ed avanzando gli anni poteva tornar vana ogni fatica onde avesse cercato dissodarlo (PURG., C. XXX, v. 135-140). Imperò Beatrice, che s'avvedeva come nell'animo di lui non poteva più trovar luogo, pensò allo scampo e alla salvezza del nome di Dante coll'ispirargli, mediante Virgilio, di cantare i regni per cui era fino a lei venuto?.
      Alla interpretazione già per noi data alla selva si accomodano altresì egregiamente gli aggiunti a lei attribuiti di oscura, selvaggia, aspra e forte e amara, perchè Dante in quei dieci anni menò vita inonorata; perchè in quei dieci anni non avendo côlto l'animo suo, questo divenne, come dice Beatrice, più maligno e silvestro col mal seme delle passioni che v'introdusse: onde appella quella medesima selva ancora valle e basso loco; e quando s'accorse d'esservi caduto n'ebbe tale amarezza che ne avrebbe avuto poco più se invece d'essersi visto cinto di oscurità e di selvatichezza si fosse trovato cinto d'infamia(4) (Inferno, C. I, v. 7.)


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La religione e la politica di Dante Alighieri
di Paolo Ferroni
Utet Torino
1861 pagine 85

   





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