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      Per tutto questo che ho detto fin qui e per altre cose che mi occorrerà discorrere in appresso, confermandosi, anzi accertandosi, il mio avviso che la selva voglia dire la condizione tristissima, cioè l'oscurezza, a cui riuscì il poeta per aver abbandonato gli onorati studii, seguo narrando colle parole di Dante come egli avendo potuto venire là dove aveva termine quella valle, che gli aveva compunto il core di paura, si trovò giunto appiè d'un colle: guardò in alto e ne vide le spalle «Vestite già de' raggi del pianeta, Che mena dritto altrui per ogni calle». Allora gli fu un poco queta la paura che gli era durata tutto il tempo che angosciosamente passò dal riconoscimento del suo stato in quella valle(5); e data un'occhiata d'orrore dietro di sè a mirare il passo da cui rifuggiva la sua anima, e d'onde non uscì mai nessuno con acquisto di gloria(6), dopo essersi riposato alquanto si rimesse in via per salire quel colle. Ed ecco al cominciare dell'erta salita una lonza leggiera e molto presta, coperta di pelo maculato, la quale non gli si toglieva mai dinanzi agli occhi, e gl'impediva il cammino così fattamente ch'egli fu più volte per tornare addietro. Il tempo in cui avveniva questo era da primo mattino, e il sole montava seguito da quelle stelle che erano con lui quando venne creato il mondo; sicchè l'ora del tempo e la bella stagione gli dava da sperar bene di quella fera dalla pelle vajetta. Però grande paura gli fu entrata quando gli apparve la vista d'un leone che parea gli venisse contro con la testa alta e con fame rabbiosa, e quando ebbe veduto ancora una lupa che nella sua magrezza sembrava carica di tutte brame e che aveva fatte già vivere sconsolate molte genti.


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La religione e la politica di Dante Alighieri
di Paolo Ferroni
Utet Torino
1861 pagine 85

   





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