Pagina (16/85)

   

pagina


Pagina_Precedente  Pagina_Successiva  Indice  Copertina 

     
      La circostanza del Giubileo celebrato l'anno appunto che il poeta si conobbe caduto nella selva e che pensò di rilevarsene darebbe ragione come nel 1300, ai 35 anni di sua vita, egli venisse ad attendere al non suo prima curato nome, alla sua salvezza: il colle che mirò appena uscito dalla valle oscura e che era vestito dei raggi del pianeta «Che mena dritto altrui per ogni calle» sarebbe l'altezza gloriosa, a cui, vergognoso del suo antico basso stato, aspirava di montare, non perchè prima non avesse tenuto cariche onorate, ma perchè in esse non si era tolto a lume della strada che faceva, il sole eterno, che per qualunque via si corra conduce a retto fine: l'erta che cominciava ad ascendere, il malagevole cammino in cui si metteva, quello cioè di governare la sua città in giustizia: la lonza leggiera e presta, coperta di pelo maculato, la città e il popolo fiorentino leggiero, inquieto, diviso: l'apparirgli per la prima questa bestia, i primi ostacoli incontrati nel reggimento di quel popolo così scorretto; il non partire giammai questa belva dinanzi al suo volto e lo impedirgli tanto il suo cammino che più volte fu per rivoltare i passi, è confessare che più fiate fu per rinunciare all'umana impresa, disgustato da quella torbida partita città che non poteva attutire: l'ora del tempo e la bella stagione che pure gli davano speranza di vincere quella fera, indicherebbero ch'egli fu pur trattenuto dallo sperare che la freschezza del suo governo e l'animo suo di reggere Firenze guidato dalle virtù che vanno sempre compagne col lume divino(7), gli avrebbero finalmente fatto guadagnare le divisioni, onde non gli sarebbe stata tolta l'altezza che agognava: il leone che tuttavia lo tenne in paura, Carlo di Valois che pieno di fame rabbiosa stava mirando sopra il dominio di Firenze, sicchè Dante n'avea sgomento: la lupa finalmente che nella sua magrezza sembrava carica di tutte brame, che fece già vivere misere più altre genti, che gli porse tanta gravezza con la paura che mandava, da fargli perdere la speranza di pervenire all'anelata cima, e che a poco a poco lo respinse là dove il dì tace, sarebbe Roma, ossia la corte dei re pontefici, che nella tenuità del suo stato era ripiena d'avarizia e d'ambizione; che fece danno a tante genti col mischiarsi superba e bramosa a brigare; che a forza di persecuzioni lo levò dal governo di Firenze e gli fece perdere la speranza che aveva concepito di salire a gloria; e che anzi osteggiandolo a poco a poco lo ridusse allo stato oscuro e basso di prima, cioè ad operare cose che alla vera gloria non potevano condurre(8).


Pagina_Precedente  Pagina_Successiva  Indice  Copertina 

   

La religione e la politica di Dante Alighieri
di Paolo Ferroni
Utet Torino
1861 pagine 85

   





Giubileo Firenze Carlo Valois Firenze Dante Roma Firenze