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      E quale sarà questo sì importante effetto voluto dal poeta mentre se ne chiamava indegno? Dal paragonare sè a Paolo ed Enea, dal ricordare il fine della loro missione, da quel contorno misterioso che fa spiccare la grandezza dell'impresa, dal non ardire quasi di palesarla temendo d'essere chiamato folle, da quel
     
      «Me degno a ciò nè io nè altri crede».
     
      (che io spiegherei: Non sono ritenuto degno di operare altrettanto quanto fecero Enea e Paolo) io sono d'avviso che quivi Dante abbia voluto dire che intento del suo poema doveva essere quello di recare conforto alla fede di Cristo, rimettendo dentro Roma il trono degl'Imperatori, perchè all'ombra di quello posasse la sedia dei Pontefici, com'era volontà e decreto di Dio. Onde, se era suo intendimento di rimettere gli uomini sul sentiere della virtù, questo che ho accennato intorno all'impero ed ai Pontefici, era principalissimo, se è vero ch'egli l'abbia, così com'io l'ho inteso, espresso. Sicchè per dar valore a questo suo consiglio si sarebbe fatto assicurare dal poeta latino, che il suo mandato veniva dal cielo, perchè quel viaggio o quel poema era dal cielo ispirato; essendochè Virgilio che era venuto per menarlo sul monte traendolo per l'Inferno e il Purgatorio, era stato spedito a lui da tre donne del Paradiso (Inf. C. II, v. 52-126).
      Nulladimeno a questo che ho esposto, il quale è lo scopo ed il senso morale insieme, non sarebbe maggior peso da attribuire che ad una congettura, se tutta la Divina Commedia, da capo a fondo, non ce ne somministrasse in prova tanti e così evidenti argomenti, a cui nessuno potrà mai chiudere gli occhi.


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La religione e la politica di Dante Alighieri
di Paolo Ferroni
Utet Torino
1861 pagine 85

   





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