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      Però se di buon animo mi sarà ammessa la prima parte della proposizione, cioè quella che Dante ha voluto recare giovamento alla religione cristiana, veggo che potrebbe importare a molti di negarmi la seconda, che è di ricostruire a Roma il trono dell'impero, perchè ne fosse protetta la sedia di S. Pietro che dev'essere spoglia dello stato terreno. Ond'io che aveva divisato di non mettere mano a prove quando si trattasse di cose chiare per sè e dalla lettera facilmente rilevabili, mi sento costretto a dovere pur isvolgere la Divina Commedia, e additare, mostrando ancora prima come e perchè potesse essere venuto Dante a cosiffatto consiglio.
      Dante ravveduto, quando pensò a compiere il debito d'uomo cristiano e di cittadino, fece segno delle sue opere la torbida ed agitata Firenze, e quivi cominciò a procacciare quei nobili sentimenti da cui dovrebbe scaturire la quiete dei partiti e la grandezza della patria. Adoperandosi in tale divisamento dovette conoscere che la fonte de' mali della sua città non era pure la superbia, l'avarizia, l'invidia dei Fiorentini, ma precipuamente la superbia, l'avarizia, l'invidia della Corte di Roma, la quale ambiziosa di dominare s'intrometteva, a fronte dello Imperatore, nel governo delle nazioni, dei popoli, delle famiglie, e perseguitando e favorendo poneva brighe e dissidii dapertutto. S'accorse che motivo di tanta sciagura era l'essersi i Pontefici, dopo la dotazione fatta loro da Costantino, arrogati i diritti della spada di Cesare e dell'impero, per cui a poco a poco presi e guasti dalla passione dell'umana grandezza, avevano quasi scordato e messo in non cale il divino mandato; del quale non solamente si curavano tanto quanto non contrastasse al potere terreno, ma si facevano sgabello per salire profanamente.


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La religione e la politica di Dante Alighieri
di Paolo Ferroni
Utet Torino
1861 pagine 85

   





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