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      Diffatti Folco beato nelle sfere de' cieli, parlando di Firenze a Dante (Par. C. IX) si querela che quella città produca e spanda
     
      v. 130. «........ il maledetto fioreC'ha disviate le pecore e gli agni,
      Perocchè fatto ha lupo del pastore.
      Per questo l'Evangelio e i Dottor magniSon derelitti, e solo ai Decretali
      Si studia sì, che pare a' lor vivagni.
      A questo intende il papa e i cardinali:
      Non vanno i lor pensier a Nazzarette,
      Là dove Gabriello aperse l'ali.
      Ma Vaticano, e l'altre parti eletteDi Roma, che son state cimitero
      Alla milizia che Pietro seguette,
      Tosto libere fien dell'adultèro».
     
      Con che il poeta, ritoccando il solito argomento dell'avarizia della Chiesa di Roma, che non sa dimenticare, non più si contenta di deplorarne i mali e sperarne il rimedio, ma adesso n'ha piena fede che il rimedio è pronto, il quale noi già conosciamo di qual fatta sia, perchè Dante già ce lo ha detto.
      Procedendo al Canto XII, s. Bonaventura, mentre predica le lodi di s. Domenico, coglie motivo di dire che questi, fatto dottore
     
      v. 88. «... alla sedia, che fu già benignaPiù a' poveri giusti, non per lei,
      Ma per colui che siede e che traligna;
      Non dispensare a due o tre per sei,
      Non la fortuna di primo vacante,
      Non decimas, quæ sunt pauperunt Dei,
      Addimandò; ma contra il mondo erranteLicenzia di combatter per lo seme,
      Del qual si fascian ventiquattro piante».
     
      cioè per lo seme dei fedeli.
      E venuto il Poeta più oltre alla sfera di Giove (C. XVIII) dove godevano le anime di coloro che governarono i popoli con giustizia, dopo avere veduta composta dagli spiriti beati colle loro eteree figure la forma di tante lettere, da poter leggere di loro le parole: Diligite justitiam qui judicatis terram, vede nell'ultima lettera di questo motto, nella M, onde finisce terram, rimanere ordinate le anime lucenti dei santi, e poscia scendere dall'alto tante luci come sono le innumerabili faville che sorgono al percuotersi dei ciocchi arsi, e quelle luci formare sopra l'M la figura di un'aquila: quasi come a dire che al fine la terra sarà protetta e con giustizia governata, quando l'aquila stenderà sovra lei le sue ali, secondo è volere dell'alto, da cui vennero le faville che l'aquila composero.


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La religione e la politica di Dante Alighieri
di Paolo Ferroni
Utet Torino
1861 pagine 85

   





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