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      Il che dovrebbe far intendere almeno che se l'Alighieri fu partitante, non fu uno di quegli stolti sciagurati che passionatamente trascendono ad occhi chiusi, e che stimano quelli solo che stanno con loro, siano o no retti o malvagi. Benchè non sarà mai da chiamarsi partitante nel senso che si vorrebbe intendere oggidì, chi fra due partiti che si contrastano, disapprovando in amendue i mezzi e le idee eccessive, tiene, rispetto al fine, con quello che, a suo vedere, tende a ciò che può tornare utile alla religione, alla nazione, alla umanità.
      Per le addotte ragioni poi si conclude che nè anche può essere stata irreligione che gli dettasse gli aspri versi contro i Pontefici, se le loro sventure tanto lo affliggono e l'adirano; ed eziandio perchè parlando di loro, allontana da sè ogni sospetto di questa pecca non confondendo mai il vicario di Cristo coll'uomo; e perchè tutto quello che in essi riprova è ciò che può recar danno alla fede cristiana, se è lecito di riprovare i vizii dei preti, come è lecito di riprendere quelli degli altri uomini. Ad ogni modo non saprei mai vedere quale detrimento ne potesse venire alla religione richiamando la Chiesa, rapporto a grandezza temporale, ai tempi antecedenti a Costantino, che nella mente del poeta non sono quelli della persecuzione, ma quelli in cui i Pontefici non avevano Stato, quelli in cui la religione risplendeva di tutta la sua santità; quando non fosse per la ragione che in questo caso la Chiesa avrebbe forse qualche eroe di più dalla Cristianità e la corte del Papa qualche mondano splendore di meno.


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La religione e la politica di Dante Alighieri
di Paolo Ferroni
Utet Torino
1861 pagine 85

   





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