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      «Volga la testa ov'egli avea le zanche»
     
      e si aggrappi al pelo come chi sale, bene attenendosi colle mani a quello, ch'egli finalmente uscirà fuori per lo foro d'un sasso. Là troverà un gran vuoto tenebroso, il quale si fa conoscere non per vista ma per suono d'un ruscelletto che quivi discende per la buca d'un sasso che egli ha roso col corso, cui egli avvolge poco pendendo. Per quell'ascoso cammino il peccatore entri a ritornare nel chiaro mondo (Inf. C. XXXIV, v. 70-133). - Dunque per liberarsi e fuggire dal peccato, il quale mette nell'anima tanto vuoto quanto esso si occupò di posto (v. 127, 128), è d'uopo andare a ritroso da lui, dalla via che si tenne prima, sostenendo la gran fatica e il grande sforzo, che pur occorre per abbandonare il vizio e l'abito cattivo. Venuta la ispirazione di Dio conviene levarsi su per uscir tosto dal miserabile stato, che molto è periglioso mentre vi si rimane (v. 94, 95), tenendo dietro al suono della grazia di Dio che parla dentro il nostro tenebroso cuore di cui potè vincere e penetrare la durezza.
      Passato quel gran vano, e l'aura morta, che aveva a Dante (al peccatore) contristato gli occhi e il petto, ecco tornare allo sguardo del poeta il dolce colore dell'orientale zaffiro, che s'accoglieva nel sereno aspetto dell'aere puro. Il bel pianeta che conforta ad amare, stando per sorgere, faceva ridere tutto l'oriente (Purg. C. I, v. 13-24). - Chi è quell'uomo, il quale abbia peccato, e che a Dio abbia rivolto il cuore in pentimento, che non riconosca in questi soavissimi accenti quella dolcezza che la sua anima contrita cominciò a gustare nel dì che ritornò a Dio?


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La religione e la politica di Dante Alighieri
di Paolo Ferroni
Utet Torino
1861 pagine 85

   





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