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      Dopo ciò Catone insegna che debbano gire i poeti al lito di quell'isoletta, dov'essi erano, nel luogo dove la batte l'onda, e colà cinger Dante d'uno di que' giunchi schietti che l'isoletta porta laggiù ad imo ad imo, sole piante che quivi nascano, perchè non vi potrebbe aver vita nessun'altra che facesse fronda o che indurasse o non cedesse alle percosse. E dice ancora che Dante ricinto del giunco si lavi il viso per estinguerne ogni sucidume, non convenendo che l'occhio sorpriso d'alcuna nebbia vada davanti al primo ministro, che è uno di quei del cielo (Purg. C. I, v. 94-105). - Il giunco schietto che non fa fronda, che non indura, che unico nasce ad imo ad imo, è evidentemente simbolo dell'umiltà, che spoglia d'ogni onore superbo deve ricingere chi muova a penitenza. E doversi il peccatore penitente lavare dal viso ogni sucidume, vuol dire che non si ha da conservare affezione alcuna al peccato che si vuol lasciare.
      Ciò compiuto, Catone ammaestra che non si torni più donde si parte, e che il sole che sta per sorgere indicherà di prendere il monte a salita più lieve (Purg. C. I, v. 106-108) per significare che il lume di Dio insegnerà la via per eseguire l'esame, che appresso si dirà, colla minore fatica.
      Lasciato Catone, Dante con Virgilio si pongono in cammino per la strada solinga, come chi torna allo smarrito sentiero e, fino che non l'abbia raggiunto, gli pare di essere andato in vano. Era l'alba, cioè il lume divino cominciava ad illuminare la mente del penitente. Vengono alla marina; si lavano, e Virgilio cinge Dante del giunco schietto, che quale fu svelto, tale si rinacque; perchè l'umiltà giammai non scema (Purg.


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La religione e la politica di Dante Alighieri
di Paolo Ferroni
Utet Torino
1861 pagine 85

   





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