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      Rimaneva il granduca di Toscana; doversi pensare se la fusione dello Stato Romano e della Toscana in un sol regno costituzionale potesse per avventura divenire un nucleo prezioso dell'unità politica di tutta l'Italia. Tal fu, nella sostanza, il mio discorso. Ma mentre si discuteva, giunse la notizia che Leopoldo II era partito per andare a raggiungere il papa a Gaeta. Troppo chiaramente adunque diveniva impossibile ancor egli qual re d'Italia. Altra grave notizia sopraggiunse per via segreta. L'intervento delle potenze cattoliche contro di Roma, per restaurarvi il governo temporale del papa, senza opposizione per parte delle potenze non cattoliche, era cosa stabilita e decisa, checchè noi facessimo, repubblica o non repubblica.
      Allora divenne palese a me, come alla maggior parte de' miei colleghi, la logica necessità di proclamare la repubblica. Bisogna dunque, io dissi a me stesso e agli altri, respingere i timidi e mezzani temperamenti. L'audacia è per noi l'unica via di possibile scampo. Che se perir si deve, si perisca almeno con una bandiera pura da ogni sembianza di compromesso o di paura; si finisca in un modo degno dei nostri antenati Romani. Apparecchiamoci ad una difesa disperata ma gloriosa, la quale lasci al popolo italiano il desiderio e la speranza, quindi ancora la forza, di una risurrezione.
      Per la qual cosa, nella notte dal 7 all'8 di febbrajo, mi diedi a studiare la miglior forma che trovar potessi per una concisa legge da chiamarsi il «Decreto fondamentale della Repubblica Romana.


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Storia di un secolo dal 1789 ai giorni nostri
di Quirico Filopanti
Sonzogno Milano
1891-1892 pagine 307

   





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