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      Infatti, sino dal 27 di aprile, cioè due soli giorni dacchè i primi soldati francesi avevan posto piede in Savoja, ma non ancora in Italia, e quasi un mese avanti il primo scontro fra Tedeschi e Francesi, la Toscana ebbe il merito di effettuare un'importante rivoluzione senza lo spargimento di una stilla di sangue. Nel mattino di quel giorno i corpi militari si recarono al palazzo Pitti, chiedendo la bandiera tricolore, e di essere mandati a raggiungere l'esercito sardo. Dopo qualche resistenza, Leopoldo II, uomo di massime politiche non liberali, ma di onesta e benevola indole personale, consegnò ai soldati colle sue proprie mani la desiderata bandiera, bianca rossa e verde. Quest'atto però, anche supponendolo ispirato da sola e vera bontà, e non da debolezza e timore, non era al certo una sufficiente ragione perché l'Italia dovesse conservare sul seggio toscano un principe di famiglia austriaca, rinunciando, per un riguardo verso di lui, al diritto di essere unita ed indipendente.
      A Livorno, nel medesimo tempo, le truppe ivi stanziate, uffiziali e soldati gregarii concordemente, erano sulle mosse per salpare alla volta di Genova. L'arciduca Giovanni, secondogenito del granduca, ed il generale D'Arco Ferrari, preparavano il bombardamento di Firenze dal forte di Belvedere; ma tutti gli uffiziali protestarono che non avrebbero fatto fuoco contro il popolo. Alle sei pomeridiane il granduca partì per Bologna, in mezzo al silenzio del popolo.
      Tuttavia il Piemonte, non ostante il poderoso aiuto che la Francia si apprestava a dargli, corse per alcuni giorni un tremendo repentaglio, imperocchè la sua capitale, Torino, sta sulla sinistra del Po, cioè dalla stessa parte dove giacciono Mantova, Verona, Milano, Pavia, e donde veniva l'esercito austriaco.


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Storia di un secolo dal 1789 ai giorni nostri
di Quirico Filopanti
Sonzogno Milano
1891-1892 pagine 307

   





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