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      Il generale Garibaldi, fatto a cavallo un giro d'attorno al paese, ed osservate col suo sguardo di aquila le posizioni, per quanto lo permetteva la crescente luce crepuscolare, distribuì gli ordini ai varii corpi, perchè circondassero la terra, ed egli intanto occupò il sobborgo, senza che trovassimo alcuna resistenza.
      I Francesi distribuiti sopra tutto il terrapieno che forma il contorno del paese, e dalle finestre o feritoje della rocca, tiravano contro di noi con ottimi fucili e con artiglieria, facendo poche perdite, riparati come erano dagli spaldi. Noi tiravamo contro di essi coll'unica nostra arma di cattivi fucili.
      Cadevano per conseguenza in maggior numero i nostri che i pontificii. Poca speranza eravi di prender d'assalto la posizione, molto meno per fame, giacchè il cibo mancava a noi e non agli assediati. I meno buoni fra i volontari partivano, disperando della riuscita, ed anche per la cattiva ragione che l'impresa, ove fosse coronata di buon esito, profitterebbe alla Monarchia. Non pensavano cotesti sbagliati repubblicani che la liberazione di Roma, più che ai re gioverebbe all'Italia ed al progresso della civiltà.
      Verso sera Garibaldi mi disse: Filopanti, fatemi delle barricate mobili. - Farò quel che posso, generale, io risposi. Ma nulla vi era a proposito; non un legno, non uno strumento, non un chiodo. Eravi però una grande biroccia. La feci condurre ad una vicina cascina, e caricare di fascine, quante mai ve ne potevano stare. Stretto il combustibile colla corda, tirato il veicolo sino al sobborgo, introdottovi dello zolfo trovato presso un bottegajo, e postovi fuoco, insegnai a pochi volontari di spingerla avanti a loro, correndo e facendosi scudo alla meglio col mucchio di fascine sulla biroccia contro le schioppettate dei francesi, sino a che le avessero poste in contatto colla porta.


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Storia di un secolo dal 1789 ai giorni nostri
di Quirico Filopanti
Sonzogno Milano
1891-1892 pagine 307

   





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