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      Così, lasciato a Giovanna l'incarico di trovare per Fanny una camera da letto meno vicina alla dimora degli spettri, fu fatta la pace, e Marina prese possesso del suo appartamento.
      Anche il burbero zio fu in seguito ammansato da Marina, senza umili scuse né moine a cui non avrebbero piegato né lui né lei, ma con un riserbo dignitoso, e, quando il rigido conte cominciò a dar qualche segno di sgelo, con certi discorsi studiati, con certe attenzioni appena accennate che lo ruppero e lo sconvolsero affatto. Sulle prime l'atteggiarsi di Marina gli riusciva misterioso e sospetto; poi fu il bizzarro contegno di lei in quella sera burrascosa, che diventò nella sua memoria un enigma inesplicabile. Allora offerse a Marina un'altra stanza più gaia nell'ala sinistra del Palazzo. Marina rifiutò; si compiaceva della leggenda paurosa narrata da Giovanna. La solitudine stessa, la tristezza del vecchio Palazzo pigliavano fra le pareti della sua camera un che di fantastico e di patetico; ed ella sentiva gli occhi de' domestici e de' contadini che bazzicavano per casa seguire la sua persona con ammirazione mista di spavento. Ottenne invece dal conte, che alla Giovanna parve opera di stregoneria, di fare alto e basso nella sua camera a piacer suo. Ne strappò le sdrucite tappezzerie gialle e vi stese in luogo loro certi bellissimi arazzi che il conte serbava in granaio, stimandoli poco o nulla; sovrappose ai mattoni un tavolato lucido a scacchiera, cui gittò su, di fianco al letto e a piè di una greppina di velluto marrone, dei tappeti di arazzo.


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Malombra
di Antonio Fogazzaro
pagine 519

   





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