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      Quella sera l'aria dei monti non nuoceva a Marina. Ell'avrebbe forse preferito un fresco sul Canalgrande o una serenata a Bellagio, dove la fragranza, per così dire, delle più squisite voluttà mondane è nell'aria ed entra sino al cuore; ma tuttavia sapeva apprezzare l'agreste poesia di quella sera d'aprile sul lago e la ingenua semplicità, non sempre volgare, dei canti usciti dalla fantasia del popolo. E, pensando che probabilmente avrebbe presto lasciato lago e montagne, pensiero pieno d'inquiete speranze, li giudicava senza inimicizia, assaporava la musica e ammirava la scena come ghiottornìe rare, gratissime per una volta a palati fini e curiosi come il suo; così avrebbe gustato un quadrettino fiammingo, un'aria di Cimarosa.
      Poi, quando i suoni e i canti si andarono dileguando da lontano e Saetta mosse lentamente, quasi a malincuore, verso il Palazzo, le impressioni di quella sera si addentravano poco a poco nell'anima sua rammollita dal voluttuoso languore che l'aprile ispira: e vi si mesceva una gran sensazione di sgomento, simile a certe doglie che ci saettano e passano e passano e poi ce ne scordiamo: e si trova in seguito ch'erano frettolose messaggere di un grosso male in cammino. L'orologio di R... suonò le nove. Non le parve la solita campana. Come poteva avere un'altra voce? Stette in ascolto. Le balenò alla mente d'essersi trovata un'altra volta sul lago, esattamente nello stesso luogo e alla stess'ora, d'aver ascoltata la campana e fatto lo stesso pensiero che il suono era diverso dal consueto.


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Malombra
di Antonio Fogazzaro
pagine 519

   





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