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      Le ore passavano e la luna veniva su piano piano dietro i nuvoloni ancora fermi a levante, che si squarciavano qualche volta sotto di lei agitando frange d'argento intorno alla sua faccia regale, e si richiudevano. Ella sfolgorava in quei brevi momenti sui vetri della finestra di Silla, guardava nella camera sino al fondo.
      Quegli scriveva. Il ronzio della sua penna rapida era interrotto da slanci veementi e da radi silenzi. Le pagine succedevano alle pagine; doveva averne riempite parecchie quella penna, quando si fermò. Silla le rilesse, pensò un poco.
      No!
      diss'egli, e stracciò lo scritto.
      Prese un altro foglio. Stavolta la penna non correva più. Il pensiero dell'uomo lottava con la parola, con se stesso forse.
      Suonarono le undici e mezzo. Silla aperse la finestra e chiamò Steinegge. Lo aveva udito camminare.
      Scenda subitodiss'egli.
      Steinegge corse alla finestra, fece atto, nel primo impeto del suo generoso cuore, di gittarsi abbasso, poi scomparve, e, in meno che non si dice, fu nella camera di Silla, con il soprabito male infilato e senza calzoni. In quel momento né lui né Silla pensarono che fosse in arnese ridicolo.
      Silla gli andò incontro. "Parto" diss'egli.
      Parte? Quando parte?
      Adesso.
      Adesso?
      Credeva Lei ch'io potessi dormire ancora sotto questo tetto?
      Steinegge non rispose.
      Vado a piedi sino a... e là aspetterò il primo treno per Milano. Lei mi farà il favore di consegnare questa lettera al conte Cesare. Qui ci son pochi denari che La prego di distribuire, come crederà meglio, ai domestici.


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Malombra
di Antonio Fogazzaro
pagine 519

   





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