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      Quella gente aveva fiutato il titolo in aria per istinto. Si era ancora al prologo; un prologo occulto da cogliersi negli sguardi, negli atti, nelle parole più indifferenti, forse in qualche colloquio recondito in cui gl'interlocutori credevano non essere uditi neppure dall'aria. Catte ne aveva parlato lungamente a Fanny, rispondendo agli elogi che la cameriera civettuola faceva della bellèssa di Nepo, della bianchèssa di quelle mani da popòla e della sua gran scichèssa in generale. Catte le aveva rappresentata la cosa come un gran beneficio cui la Provvidenza, aiutata dalle Eccellenze Salvador, stava per recare a donna Marina. Ella magnificava non poco le ricchezze de' suoi padroni, i due palazzi di Venezia, di qua e di là dall'acqua, la colossale villeggiatura con i porticati lunghi come le procuratie, i reggimenti di statue, i granai capaci di sfamare tutti i topi e i pitocchi di Venezia, e la famosa aia grande come la Piazzetta. Fanny beveva queste notizie e le spandeva tra i colleghi: "Che senta, che senta! La dice così e così". Pareva che stesse per ereditar lei tutta questa roba. Gli altri facevano spallucce. Che ne importava loro? E chiedevano a Fanny s'ella credeva di andar a far la principessa. Fanny, piccata, rispondeva: "Che sciocchezze!". Principessa no, ma intanta non sarebbe più stata ad ammuffire in quel mostro d'un sito, fabbricato dal diavolo per i suoi figli. Allora le si faceva osservare che il matrimonio non era poi mica ancora sicuro; e qui cominciavano le congetture, si avviavano delle conversazioni come questa:


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Malombra
di Antonio Fogazzaro
pagine 519

   





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