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      E c'entrava forse nel suo dispetto quest'altra piccola delusione, che il conte non avesse detto addirittura, com'ella sperava: "Marina è mia erede".
      Il conte stette mansuetamente ad ascoltare le sfuriate di sua cugina, come se non fosse affar suo: e si appagò di rispondere:
      Il vino che versate lascia macchia; le parole no.
      La contessa non parve udirlo. Ella si era già alzata e muoveva brontolando verso l'uscio. Suo cugino in piedi, chino sul petto il capo formidabile, la guardava sorridendo: forse perché Sua eccellenza pareva una papera che, offesa da qualche villano nel suo pasto o nei pacifici colloqui con le amiche o nella contemplazione solitaria, dopo una schiamazzata e una corsa se ne va grave e degna ma tuttavia commossa, mettendo ad intervalli le voci brevi e sommesse dello sdegno suo che si placa. Quando ella fu presso all'uscio, il conte si scosse.
      Aspettatediss'egli.
      Sua Eccellenza si fermò e girò un poco la testa a sinistra.
      Il conte le venne alle spalle, porgendole un oggetto che teneva con la mano e batteva con la destra.
      Sua Eccellenza girò la testa un altro poco e gittò un'occhiata obliqua alle mani del conte; dopo di che girò tutta la persona. Era una tabacchiera aperta che il conte le tendeva. Sua Eccellenza esitò un poco, fece una smorfia, e disse bruscamente:
      È Valgadena?
      Il conte, per tutta risposta, ripicchiò la tabacchiera con due dita.
      Sua Eccellenza porse il pollice e l'indice, soffregandone i polpastrelli uno contro l'altro, con inquietudine voluttuosa; li immerse quindi nel tabacco morbido e disse con voce alquanto rabbonita:


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Malombra
di Antonio Fogazzaro
pagine 519

   





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