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      Il povero Steinegge aveva la febbre addosso. Sentiva confusamente che, avuto riguardo al valore e alla condizione sociale del Ferrieri, la era una grande fortuna; sentiva che l'ingegnere doveva essere un onest'uomo: di questo lo persuadeva il colloquio, avuto con lui. Il Ferrieri gli aveva lealmente aperto il suo cuore, gli aveva narrato l'episodio dell'Orrido, esprimendo la speranza che Edith avrebbe accettate le sue scuse, parlando di lei col toccante rispetto di un fanciullo di sedici anni. Poi gli aveva lungamente ragionato di sé, della sua famiglia, nulla celandogli né del bene né del male; gli aveva tratteggiata la vita seria e tranquilla, ma signorile, che offriva a Edith. Steinegge sentiva che avrebbe perduto per lo meno gran parte di sua figlia; n'era accorato e si sdegnava in pari tempo seco stesso di questo egoismo invincibile. S'era fatto quindi uno scrupolo di magnificare a Edith l'uomo e le sue parole. Ma egli era troppo commosso per potersi spiegare a dovere. Le aveva impasticciato il discorso del Ferrieri, mettendone a fascio il capo e la coda, lardellandolo di esclamazioni: "Un uomo nobile! Un uomo grande!" confondendosi, ripigliandosi ad ogni momento.
      Quand'ebbe finito, Edith venne a posargli le mani sulle spalle.
      Che mi consigli, papà?
      diss'ella.
      Il povero Steinegge non fu in grado di rispondere a parole, ma fece un gesto energico, un'affermazione disperata con il capo e con le braccia.
      Finalmente, a furia di volontà, poté articolare queste due parole:
      Grande fortuna.


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Malombra
di Antonio Fogazzaro
pagine 519

   





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