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      Ella era dunque già sposa davvero e gli scriveva in quel modo con quel nome! Ma la parola Cecilia a piè del telegramma aveva pur vita, voce, passione; gridava "ti amo; vieni!". Un giorno dopo le nozze! E il conte era veramente ammalato, o no? Se non era ammalato, perché gli sposi non erano più partiti? La sua fantasia si perdeva; egli trasaliva quando, in mezzo a dubbi d'ogni sorta, gli lampeggiava in mente con una tagliente nettezza di dettagli, la immagine del Palazzo, del giardino, del lago, quali li avrebbe veduti fra due ore, fra un'ora e tre quarti, fra un'ora e mezzo. Ne provava una contrazione nervosa, pensava chi avrebbe veduto prima, quali parole avrebbe udite, come si sarebbe comportato con lei. E se il conte non avesse nulla, se fosse un inganno! Ad ogni svolta della via tutti questi pensieri lo martellavano più forte. Tratto tratto ne balzava fuori, rinnovando il proposito di andar ciecamente, a coscienza muta, là dove lo portassero la occulta violenza delle cose e le passioni sue libere, oh sì, libere finalmente dopo tante stolte lotte inutili che non gli avevano conciliato né gli uomini né Dio. Non era una strada quella striscia bianca, nitida innanzi a lui, fumante di polvere alle sue spalle; era una furiosa corrente che non risale, una corrente da seguire oramai nel piacere e nel dolore sino a qualunque abisso, tanto più avidamente bramato quanto più profondo. Attraverserebbe forse qualche ora splendida come quel magico paese lì, quel verde poema ariostesco di folli colline che dalle montagne saltavano al piano in disordine, portando in collo e sui fianchi ville, torri, giardini, inghirlandate di vigneti, curve intorno a laghetti pieni di cielo.


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Malombra
di Antonio Fogazzaro
pagine 519

   





Cecilia Palazzo Dio