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      E si voltava a guardare la loggia vuota, stava in ascolto.
      Eccola, forse! No, era l'amico dei Salvador, l'avvocato Giorgio Mirovich. Passò camminando in punta di piedi, salutò Silla con un cerimonioso "servo" e s'avviò verso la camera del conte. Ne ritornò subito e chiese a Silla, parlando mezzo veneto, mezzo italiano, se avesse visto quel signor frate. Avutane risposta che era in giro per la casa con la Giovanna, soggiunse: "ha un certo linguaggio quel signor frate!" e si fermò lì a conversare. Perla d'onest'uomo, ma cortigianescamente devoto alla contessa Fosca, antica fiamma, aveva modi quando burberi, quando cerimoniosi, un parlar franco, e insieme cauto. Mirava a scoprire come Silla avesse risaputa la malattia del conte. Silla gli disse che se ne parlava da tutti nei paesi vicini e ch'erano persino corse voci di maggiore sventura. Non lasciò intendere dove precisamente avesse attinta la notizia egli stesso né di dove fosse partito quella mattina, benché non dubitasse che per mezzo del vetturale lo si avrebbe facilmente conosciuto. L'avvocato, a cui ripugnavano le investigazioni oblique, uscì presto di argomento. Confidò a Silla la profonda avversione per quei luoghi inospiti, per le montagne dritte come muri, per quella casa della malinconia. Anch'egli, come la sua vecchia amica, non ne poteva più; non vedeva l'ora di sentirsi gridare "sià premi" e "sià stali" sotto le finestre.
      Finalmente il frate ritornò e Silla discese in giardino.
      V'era il commendator Vezza che si divertiva a gettare del pane ai cavedini.


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Malombra
di Antonio Fogazzaro
pagine 519

   





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