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      Catte venne a pregare il commendatore di andare ancora dalla contessa, e Steinegge rimase solo.
      Non era stato mai un gran sognatore il povero Steinegge, pure qualche sogno, durante il suo mezzo secolo di vita, l'avea fatto anche lui, di tempo in tempo; qualche piccolo sogno come la libertà della patria, la pace della famiglia. Il suo ultimo sogno, umile e timido, era stato che sua moglie sarebbe guarita e che avrebbero trovato un pane in Alsazia; soffiatogli via dalla fortuna anche questo, non aveva sognato più.
      Per meglio dire, non aveva più creduto di sognare, perché adesso, guardando il lago dalla loggia del Palazzo, e sentendosi il cuore tutto amaro, capì che un'altra speranza, natagli spontaneamente, inavvertita da lui, gli si era rotta e gli faceva male. Chi avrebbe pensato che Silla potesse dissimulare a quel modo? Deliberò di aspettarlo.
      Nessuna voce veniva più dalla camera di Marina; tutta quell'ala del Palazzo era muta. Dall'altra parte si udivano ancora spesso colpi d'usci sbattuti, strilli di campanelli. Spesso si apriva la porta della loggia, si chiamava sommessamente un nome o l'altro. Nessuno rispondeva; una testa usciva a guardare, poi spariva e l'uscio si richiudeva lentamente. Voci di donne si alzavano un momento in litigio, ma erano fatte tacere subito. Passi frequenti crosciavano sulla ghiaia del cortile, salivano la scalinata; in alto, pei sentieri del vigneto si gridava e qualche volta si rideva. Per fortuna i bagagli dei Salvador eran quasi pronti fin da due giorni prima; la contessa li faceva portar su alla casetta del giardiniere.


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Malombra
di Antonio Fogazzaro
pagine 519

   





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