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      Ma io, caro signor Giacomo, sono un uomo antiquato come Lei, un uomo del tempo di Carlo V, come si dice qui. Adesso il mondo va diversamente e bisogna lasciarlo andare. Dunque io le mie ragioni le ho dette e poi ho detto: adesso, fate vobis; del resto poi quando avrete deciso, in qualunque modo, ditemi quel che occorre fare e son qua."
      E cossa dise la signora Teresina?
      Mia sorella? Mia sorella, poveretta, dice: se li vedo a posto non mi dispiace più di morire.
      Il signor Giacomo soffiò forte come sempre quando udiva quest'ultima sgradevole parola.
      Ma no semo miga a sti passi?
      , diss'egli.
      Eh!
      , fece l'ingegnere, molto serio. "Speriamo in Domeneddio."
      Toccavano allora quel gomito della viottola che svoltando dagli ultimi campicelli del tenere di Albogasio ai primi del tenere di Castello, gira a sinistra sopra un ciglio sporgente, nell'improvviso cospetto di un grembo precipitoso del monte, del lago in profondo, dei paeselli di Casarico e di S. Mamette, accovacciati sulla riva come a bere, di Castello seduto poco più su, a breve distanza, e là di fronte, del nudo fiero picco di Cressogno, tutto scoperto dai valloni di Loggio al cielo. È un bel posto, anche di notte, al chiaro di luna, ma se il signor Giacomo vi si fermò in attitudine contemplativa e senza soffiare, non fu già perché la scena gli paresse degna dell'attenzione di chicchessia, figurarsi di un primo deputato politico, ma perché avendo una considerazione grave da mettere in luce, sentiva il bisogno di richiamare tutte le sue forze al cervello, di sospendere ogni altro moto, anche quello delle gambe.


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Piccolo mondo antico
di Antonio Fogazzaro
pagine 421

   





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