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      Erano militari richiamati alle bandiere, venuti al battello con due grandi barche. Altre barchette portavano donne, bambini, vecchi, che salutavano e piangevano. I soldati, la maggior parte bersaglieri, bei giovinotti allegri, rispondevano ai saluti, gridando: "Viva l'Italia!" promettevano regali da Milano. Una vecchia, che aveva tre figli fra quei soldati, gridava loro, tutta scarmigliata ma non piangente, che si ricordassero del Signore e della Madonna. "Sì", brontolo un vecchio sergente che li accompagnava, "ca s'ricordo del Sgnour, d'la Madonna, del Vescov e del prevost!" I soldati molto pratici del "prevost", la prigione militare, risero della barzelletta e il battello partì. Grida, sventolar di fazzoletti e poi un canto, un canto potente di cinquanta voci gagliarde:
     
      Addio, mia bella, addio,
      L'armata se ne va.
     
      I soldati si erano tutti ammucchiati a prora su cataste di sacchi e barili, quale seduto, quale sdraiato, quale in piedi, e cantavano a squarciagola, con l'accompagnamento cupo delle ruote del vapore che filava diritto giù verso lo sfondo di cielo cui le sottili colline d'Ispra dividono dall'immenso specchio dell'acque, verso il Ticino. Quei giovinotti avevano a passarlo presto, il Ticino, probabilmente al grido di Savoia, fra una furia di cannonate. Molti di loro erano attesi laggiù, sotto quel cielo sereno, dalla morte; ma tutti cantavano allegri e solo il rumor cupo delle ruote del vapore pareva saperne qualche cosa. Le libere montagne piemontesi lungo le quali filava il battello parevano fiere e paghe, benché nell'ombra, di aver dato i propri figli alle schiave montagne lombarde, tragiche nell'aspetto benché illuminate dal sole.


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Piccolo mondo antico
di Antonio Fogazzaro
pagine 421

   





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