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      Dante. - Lieta si dipartio non che sicura. Petrarca. - Non che l'altrui onte vendicasse, anzi infinite a lui fattene sosteneva. Boccaccio. - Non che aprirsi con nessuno (è lo stesso che alcuno) su questa sua nuova inquietudine, la copriva anzi profondamente. Manzoni. - Dopo non che non si ripete la negativa non, neppure quando parrebbe richiesta dal senso, come si vede nell'ultimo di questi esempii. - Oggi non che si adopera abusivamente nel semplice significato di e, come pure, e inoltre; p. es. Presi meco la moglie, non che i figli e i servitori.
     
      CAPITOLO XXVIII
     
      Uso delle interjezioni.
      (Gramm., Parte II, cap. XXXI)
     
      § 1. Le interjezioni propriamente dette non hanno di per sè alcun senso chiaro o preciso, ma sono espressioni istintive di qualche affetto o sensazione. Non si può determinare esattamente a quale sentimento corrisponda ciascuna di esse, potendo una medesima interjezione manifestare più e diversi moti dell'animo. Diremo soltanto, così in generale, che oh esprime, più che altro, la maraviglia; ah l'allegrezza; eh una maraviglia mista di ripugnanza; mah, cheh (solita a scriversi che), incredulità o disprezzo; ahi, ohi, uh, uhi il dolore; ohibò, un senso deciso di ripugnanza; puh, ripugnanza e sdegno; ih, la rabbia e la stizza; ehi, olà, la chiamata di alcuno; deh, la preghiera; guai, la minaccia ecc. Il significato delle altre interjezioni è fatto chiaro abbastanza dalle parole stesse, di cui sono formate.
     
      § 2. Ad ahi, ohi si congiunge spesso la forma oggettiva di prima persona, me: ahimè, ohimè (ohisè antiquato). Con un aggettivo usato a maniera di interjezione si adopra la medesima forma, ed inoltre te, lui, lei, loro (non egli nè ella nè sè): felice te! me sventurato! benedetto lui! maledetti loro! poveretta lei!


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Sintassi italiana nell'uso moderno
di Raffaello Fornaciari
Sansoni Firenze Editore
1881 pagine 500

   





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