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      Da tale ampliamento d'una proposizione ne deriva la distinzione di proposizioni principali e subordinate, dicendosi principali quelle che stanno a fondamento delle altre e non sono rette necessariamente da alcuna congiunzione o da alcun pronome relativo (la luce ricrea lo spirito; si ricrea lo spirito) e chiamandosi subordinate le altre che ampliano e determinano le medesime, e che sono necessariamente rette da congiunzioni, o da voci relative espresse o sottintese.
     
      § 2. Le subordinate che determinano o spiegano un sostantivo, corrispondendo di lor natura ai complementi attributivi (P. II, cap. II), si chiamano proposizioni attributive. Le subordinate invece che si sostituiscono ad altri elementi, possono essere di tre sorte: soggettive, quando rispetto ad una principale tengon luogo di soggetto; oggettive, quando rispetto ad una principale tengon luogo di oggetto; avverbiali, quando rispetto ad una principale tengon luogo d'avverbio o di frase avverbiale, corrispondendo così a quelli che dicemmo complementi avverbiali; p. es. invece di dire l'amor tuo mi è grato, sostituendo al soggetto una proposizione soggettiva potrò dire che tu mi ami, m'è grato. Invece di dire desidero la tua diligenza, potrò, usando una proposizione oggettiva, dire: desidero che tu sia diligente. Invece di dire: leggo questo libro per diletto, potrò, sostituendo al complemento avverbiale una frase avverbiale di scopo, dire: leggo questo libro, affinchè io ne riceva diletto.
     
      § 3. SUBORDINATE IMPLICITE. Le proposizioni subordinate si dicono esplicite, quando sono espresse con un modo finito (indicativo, congiuntivo, condizionale), ed implicite, quando sono espresse con l'infinito, il gerundio, il participio (vedi P. I, cap.


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Sintassi italiana nell'uso moderno
di Raffaello Fornaciari
Sansoni Firenze Editore
1881 pagine 500