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      Nel tempo stesso ch'egli accresce i materiali onde l'italiana lingua di già abbondava, pare che la impronti di fresca e novella creazione, perchè in fatto questa lingua eragli insieme e naturale e forestiera. Non aveva più di nove anni quand'ei fu condotto in Francia, dove passò la giovinezza e la maggior parte di sua vita. I genitori, da cui avrebbe potuto apprendere l'idioma toscano, morirono mentr'era egli ancor giovinetto. Ne' frequenti viaggi ch'ei fece in Italia dimorò a lungo da per tutto, tranne in Firenze, dove solo passò tre o quattro settimane. A formarsi uno stile che fosse affatto suo proprio, egli ne afferma che non tenne mai copia del gran poema di Dante, la cui dizione affetta di sprezzare.(56) Sol quando fu per chiudere i giorni suoi cominciò il Petrarca a pentirsi di non essersi valuto "della lingua volgare; campo novellamente scoperto, ma squallido, perchè molti gli diedero il guasto, niuno saggiamente lo coltivò."(57) Devo alla libreria e alla liberalità di Lord Holland l'unico saggio ch'io m'abbia mai veduto della prosa italiana del Petrarca. Gli è un manuscritto, di propria mano del Petrarca, di due lettere che, lontane dalla eleganza e grammaticale correzione di Dante e del Boccaccio, o da quella pure de' loro minori contemporanei, sono solo notevoli per calore di sentimento e per la perspicuità di pensiero, peculiare al suo stile. Se, invece di dedicare la vita ad una lingua antica, nella quale erano già tanti inimitabili autori, egli avesse scritto le numerose opere sue in italiano, ne avrebbe potuto lasciare modelli d'ogni fatta di composizioni.


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Saggi sopra il Petrarca
di Ugo Foscolo
Carabba Editore Lanciano
1928 pagine 139

   





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