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      Trovò la lingua latina,
     
      le verdi allegre frondiDeposte, tetra, tutta nocchi, e stuoie,
      E sprocchi informi, di spine irta, e brullaDi frutta.
     
      Pure, per le fatiche da lui durate, questa lingua rivisse di tal freschezza, che lo fece riguardare come colui che rivocò a novello corso il secolo d'Augusto; merito non pertanto che gli uniti e assidui sforzi di sei generazioni di dotti, da' suoi tempi fino a quelli di Leone X, hanno appena ottenuto. Tuttavia chi non reca al nome di perfetto letterato altro titolo che eleganze penosamente spigolate ne' classici, non ha diritto di sogghignare alla latinità del Petrarca. Sembra che, modellando lo stile sovra i Romani, non intendesse nemmeno di porre al tutto in non cale i Padri della Chiesa, il fraseggiare de' quali era più accomodato a' suoi temi; e i pubblici negozi venendo a que' dì trattati in latino, non gli fu sempre concesso di rifiutare parecchi di que' modi, i quali, tuttochè derivati da barbari secoli, erano stati sanciti dall'uso di tutte le università, e venivan trovati più acconci alla intelligenza de' lettori. Perdendo di purezza, si avvantaggiava di libertà, di scorrevolezza e di calore; e la sua prosa, quantunque non sia modello da imitarsi, si rimane oltre il tiro degl'imitatori, perchè originale e ben sua.
      XV. Dalla poesia latina non poteva il Petrarca uscire ad onore, da che le natie bellezze di quella erano sì poco sentite, che in gioventù trascorse egli medesimo a scrivere esametri in rima.(61) La pronunzia, dalla quale tutti i metrici sistemi degli antichi derivano, si era già tanto alterata, ch'ei fu sovente astretto a congetturare, nè sempre apponendosi, la quantità delle sillabe.


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Saggi sopra il Petrarca
di Ugo Foscolo
Carabba Editore Lanciano
1928 pagine 139

   





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