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      - Ma il popolo, soprattutto gli abitanti della campagna, conservarono sempre i loro usi antichi, le loro foggie di vestire ed il loro dialetto, di padre in figlio e di generazione in generazione: dunque la lingua del popolo italiano nel tempo della barbarie era la stessa che parlavasi a' tempi di Augusto, e la stessa che discese a' tempi di Dante.
      Il fatto che la lingua latina fosse distinta da quella degli abitanti di Roma, e fosse una specie di lingua più letteraria che parlata, è attestato e illustrato assai volte da Cicerone, e soprattutto nella breve ed ammirabile storia critica che ei scrisse degli Oratori illustri di Roma. Ma l'altro fatto, che il popolo conservò per più di dodici secoli la sua lingua, è appoggiato più a congetture che alla storia. La storia al contrario e l'osservazione giornaliera ne accertano, che nulla cangia quanto il dialetto. In Italia dovea cangiare per il concorso d'infiniti diversi popoli settentrionali che la invasero, la spopolarono e la ripopolarono; ma dovea anche cangiare per la naturale tendenza che tutte le cose dell'universo hanno di alterarsi, e le lingue molto più, perchè la loro pronunzia si altera leggermente di secolo in secolo, di generazione in generazione, e forse anche di anno in anno, nella pronunzia; e l'alterazione della pronunzia fa mutamenti di suoni, e i mutamenti di suoni nelle parole vanno coll'andar del tempo ad accrescersi in guisa, che la lingua, se non si muta del tutto, si altera sì fattamente da parere diversa da quella che era pochi secoli addietro.


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Sulla lingua italiana
Discorsi sei
di Ugo Foscolo
Istituto Editoriale Italiano
1914 pagine 176

   





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