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      Credendo col morir fuggir disdegno,
      Ingiusto fece me contra me giusto.
     
      Per le nuove radici d'esto legnoVi giuro, che giammai non ruppi fede
      Al mio Signor, che fu d'onor sì degno.
     
      E se di voi alcun nel mondo riede,
      Conforti la memoria mia, che giaceAncor del colpo che invidia le diede.
     
      Dante, oltre a' poeti della corte di Federigo, ne nomina parecchi di Lombardia, di Romagna e di Toscana, fra' quali i più celebri furono tre che ebbero nome Guido.
      Il primo di essi nacque a Bologna della casa patrizia de' Guinicelli; ed è di lui che Dante dice:
     
      . . . . . . . udii nomar sè stesso, il padreMio, e degli altri miei maggior, che mai
      Rime d'amore usar dolci e leggiadre:
     
      E, senza udire e dir, pensoso andaiLunga fïata rimirando lui,
      Nè per lo foco in là più m'appressai.
     
      Poichè di riguardar pasciuto fui,
      Tutto m'offersi pronto al suo servigioCon l'affermar che fa credere altrui.
     
      E adducendogli la cagione per cui lo riguarda con tanto affetto, dice che ne sono motivo:
     
      . . . . . . . . . . . i dolci detti vostri,
      Che quanto durerà l'uso moderno,
      Faranno cari ancora i loro inchiostri.
     
      Tal lode non è giustificata da' frammenti che gli antiquarj attribuiscono a questo Guido; e o non sono veramente suoi, o sono i peggiori di quanto scrisse; e la miglior parte del suo ingegno perì con tanti altri scritti, de' quali più non vive che la memoria.
      Il secondo Guido era d'Arezzo(19). Molti lo confondono con un altro Guido inventore del contrappunto, il quale era pur d'Arezzo, ma visse assai tempo prima. Di Guido poeta i versi che restano sarebbero meravigliosi per quella età; - non tanto per le idee, quanto per lo stile, che spesso pareggia quello del Petrarca: ma confesso che io credo le poesie di Guido d'Arezzo spiritose invenzioni di qualche bell'ingegno dell'epoca di Leone X, dacchè i manoscritti in cui si trovano mancano egualmente di ogni prova di autenticità e d'antichità. Vero è che io così m'oppongo al consenso universale di tutta Italia; ma gl'Italiani, quanto più sentono la loro presente miseria, tanto più si studiano di aggrandire le loro glorie passate.


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Sulla lingua italiana
Discorsi sei
di Ugo Foscolo
Istituto Editoriale Italiano
1914 pagine 176

   





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