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      - Ma lodi siffatte sentono di fanatismo. Il Boccaccio, senza essere sommo in alcuna di tante guise di stile, seppe trattarle felicemente pur tutte; il che non incontrò a verun altro, o a rarissimi.
      Nondimeno M. Ginguené, uno de' critici più eleganti e più celebri dell'età nostra, giudica che il Boccaccio, avendo avuto sotto gli occhi la storia di Tucidide e il poema di Lucrezio, abbia emulato le loro doti diverse in guisa, che gli venne fatto di superarli, e descrisse la peste da storico, da filosofo e da poeta(34). Se il Boccaccio vedesse l'uno e l'altro di quelli scrittori non sappiam dirlo; ad ogni modo bastava il latino, il quale segue di passo in passo Tucidide. Molta parte dell'italiano sembra parafrasi, non pure di avvenimenti originati per avventura e in Atene e in Firenze dalla medesima epidemia, ma ben anche di riflessioni e minute particolarità, nelle quali è improbabile che gli scrittori concorressero a caso. Il merito della descrizione della pestilenza nel Decamerone non risulta così dallo stile - che raffrontato a quello di Tucidide e di Lucrezio è freddissimo, - come dal contrasto degli infermi e de' funerali e della desolazione nella città, con la gioia tranquilla e le danze e le cene e le canzonette e il novellar della villa. In questo il Boccaccio, quand'anche avesse imitata la narrazione, l'adoperò da inventore. Bensì, guardando ciascuna descrizione da sè, la pietà ed il terrore prorompono insistenti dalle parole del Greco; e s'affollano, ma senza confondersi, da che ei procede con l'ordine che la natura diede al principio, al progresso e agli effetti di tanta calamità. Radunando circostanze due volte tante più che il Boccaccio, le dipinge energicamente in pochissimi tratti, sì che tutte cospirino simultaneamente a occupare tutte le facoltà dell'anima nostra.


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Sulla lingua italiana
Discorsi sei
di Ugo Foscolo
Istituto Editoriale Italiano
1914 pagine 176

   





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