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      Niuno forse, dopo Aristofane, ricavò tanto amaramente il ridicolo dalla sfacciataggine dei predicatori ignoranti, e dalla credulità d'ignoranti ascoltatori, quanto il Boccaccio con le Novelle, dove si mostra implacabile a' frati. In una d'esse introduce uno di que' vagabondi a vantarsi dal pulpito d'avere pellegrinato in tutti i paesi che sono e non sono nel globo terraqueo a trovar reliquie di Santi, e farle adorare per danari al popolo nelle chiese. E nondimeno il Boccaccio, morendo, diceva d'aver da gran tempo cercato per sante reliquie in diverse parti del mondo, - e le lasciava alla devozione del popolo in un convento di frati. Quella sua volontà trovasi scritta in un testamento in italiano tutto di suo pugno, e in un altro in latino fatto molti anni dopo da un notaio, e approvato e sottoscritto dal Boccaccio poco prima ch'egli morisse. E in tutti e due i testamenti lasciò ogni suo libro e manoscritto al suo confessore, e al convento di Santo Spirito, perchè i frati preghino Dio per l'anima sua, e i suoi concittadini potessero leggerli e copiarli per loro ammaestramento. È dunque più che probabile che fra que' libri non vi fosse copia veruna del Decamerone; e dal seguente aneddoto, che rimase quasi ignoto perchè è da desumersi da libri che pochissimi leggono, apparirà che l'originale manoscritto delle Novelle fu distrutto lungo tempo innanzi dall'Autore; e infatti non è stato mai possibile di trovarlo.
      Verso la fine dell'età sua, la povertà, che è più grave nella vecchiaia, e lo stato turbolento di Firenze gli fecero rincrescere la vita sociale, e rifuggiva alla solitudine; ed allora l'anima sua generosa ed amabile era invilita e intristita da' terrori della religione.


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Sulla lingua italiana
Discorsi sei
di Ugo Foscolo
Istituto Editoriale Italiano
1914 pagine 176

   





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