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      Il popolo d'ogni regno e paese continuava a vivere nell'ignoranza; bensì v'era un popolo europeo composto di letterati che, per quanto lontani vivessero, pure scrivevano gli uni per gli altri; e i libri giravano in un circolo composto di lettori, che per lo più erano autori.
      Non però la nazione italiana mancava assolutamente d'una lingua comune, corrente e vivissima in tutte le sue provincie, intesa da Torino sino a Napoli, scorretta, deforme; ed era anche un po' letteraria, ma di quella letteratura plebea la quale non sopravvive alla seconda generazione. Abbiamo nella prima epoca, parlando de' dialetti romanzi, osservato che, per quanto i modi di parlare di un grandissimo tratto di terra divisa in molte provincie sieno diversi ed innumerabili, esiste sempre una lingua comune, con la quale gli abitatori d'una provincia intendono quei delle altre. Sì fatta lingua comune è più o meno povera, secondo il meno o più di commercio che le diverse provincie hanno fra loro; ed è più o meno mutabile secondo la lunga o precaria stabilità de' governi. Sì fatta lingua ad ogni modo non è mai ricca, nè permanente, perchè dipende assolutamente dalle vicissitudini di tutte le lingue parlate, e dai cambiamenti de' costumi e delle idee che sono operati dalle vicissitudini politiche. Gli scrittori non la tramandano ne' loro libri alla memoria delle generazioni seguenti; onde non serba mai traccie del suo stato anteriore. Questa specie di lingua comune, diversa in tutto da' dialetti provinciali e municipali, e che serba alcune qualità bastarde di tutte, fu indicata da noi sotto i nomi talora d'itineraria, e talora di mercantile.


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Sulla lingua italiana
Discorsi sei
di Ugo Foscolo
Istituto Editoriale Italiano
1914 pagine 176

   





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