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      Or ciò che il cardinal Bembo e gli altri suoi collaboratori avrebbero dovuto insegnare, e che nondimeno niuno può imparare se non per attitudine naturale e per lunga consuetudine, consisteva nell'arte di scriver bene. Questo non riesce mai se non a chi sa ciò che deve sottrarre dalla massa de' vocaboli e delle frasi perchè nuoce allo stile e alle idee; e ciò che vi deve aggiungere perchè giova: e le sottrazioni e le addizioni devono farsi in guisa, che ciò rechi nuove e geniali sembianze alla lingua, ma senza mai nè snaturarla nell'indole sua, nè travisare la sua nativa fisonomia. Sì fatta arte, necessaria agli scrittori di qualunque lingua e difficile a tutti, fu sempre e sarà difficilissima agli Italiani. Non hanno Corte, nè città capitale, nè parlamenti ove la lingua possa arricchirsi secondando di grado in grado il corso e le mutazioni delle idee, delle fogge, delle opinioni e del tempo; anzi quanto è letteraria, tanto rimanesi artificiale più di quant'altre siano state mai scritte o si scrivano. Il mantenerla purissima adattandola a nuove idee e all'uso corrente; il porvi studio e far sì che non raffreddi lo stile, e l'usarla letteraria com'è, ridurla tuttavia famigliare anche a non letterati, sono sempre state difficoltà che in pratica apparvero tutte indomabili a molti. Quindi le tante teorie di trattatisti, le controversie e la confusione di grammatiche, di cui fu sempre romorosa l'Italia. E per non esservi lingua prevalente in un secolo, vediamo fra gli scrittori italiani d'una medesima età più differenza che in quella d'ogni altro popolo; il che produce il vantaggio della varietà degli stili, e il danno della perplessità e pedanteria de' giudizj.


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Sulla lingua italiana
Discorsi sei
di Ugo Foscolo
Istituto Editoriale Italiano
1914 pagine 176

   





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