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      – Tenete buona compagnia alle mie figliuole, mi diceva egli questa mattina. A vedere, egli mi reputa Socrate – me? e con quell'angelica creatura nata per amare, e per essere amata? e così misera a un tempo! ed io sono sempre in perfetta armonia con gl'infelici, perché – davvero – io trovo un non so che di cattivo nell'uomo prospero.
      Non so com'ei non s'avvegga ch'io parlando della sua figlia mi confondo e balbetto; cangio viso e sto come un ladro davanti al giudice. In quel punto io m'immergo in certe meditazioni, e bestemmierei il cielo veggendo in quest'uomo tante doti eccellenti, guaste tutte da' suoi pregiudizi e da una cieca predestinazione che lo faranno piangere amaramente. – Così intanto io divoro i miei giorni, querelandomi e de' miei propri mali e degli altrui.
      Eppure me ne dispiace: – spesso rido di me, perché propriamente questo mio cuore non può sofferire un momento, un solo momento di calma. Purché io sia sempre agitato, per lui non rileva se i venti gli spirano avversi o propizj. Ove gli manchi il piacere, ricorre tosto al dolore. Jeri è venuto Odoardo a restituirmi uno schioppetto da caccia ch'io gli aveva prestato, e a pigliare il buon viaggio da me; non ho potuto vederlo partire senza gettarmigli al collo tuttoché avessi dovuto veramente imitare la sua indifferenza. Non so mai di che nome voi altri saggi chiamate chi troppo presto ubbidisce al proprio cuore: perché di certo non è un eroe; ma è forse vile per questo? Coloro che trattano da deboli gli uomini appassionati somigliano quel medico che chiamava pazzo un malato non per altro se non perch'era vinto dalla febbre.


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Ultime lettere di Jacopo Ortis
di Ugo Foscolo
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Socrate Odoardo