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      Guardandomi parea che volesse dirmi: Io sarò abbandonata anche da te! – e chiamò il suo cagnuolino.
      Io? – Chi l'avrebbe mai detto che quella dovesse essere l'ultima sera ch'io la vedeva! Era vestita di bianco; un nastro cilestro raccogliea le sue chiome, e tre mammole appassite spuntavano in mezzo al lino che velava il suo seno. – Io l'ho accompagnata fino all'uscio della sua casa; e sua madre che venne ad aprirci mi ringraziava della cura ch'io mi prendeva per la sua disgraziata figliuola. Quando fui solo m'accorsi che m'era rimasto fra le mani il suo fazzoletto: – gliel ridarò domani, diss'io.
      I suoi mali incominciavano già a mitigarsi, ed io forse – è vero; io non poteva darti il tuo Eugenio; ma ti sarei stato sposo, padre, fratello. I miei concittadini persecutori, giovandosi de' manigoldi stranieri, proscrissero improvvisamente il mio nome; né ho potuto, o Lauretta, lasciarti neppure l'ultimo addio.
      Quand'io penso all'avvenire e mi chiudo gli occhi per non conoscerlo e tremo e mi abbandono con la memoria a' giorni passati, io vo per lungo tratto vagando sotto gli alberi di queste valli, e mi ricordo le sponde del mare, e i fuochi lontani, e il canto del gondoliere. M'appoggio ad un tronco – sto pensando – il cielo me l'avea conceduta; ma l'avversa fortuna me l'ha rapita! traggo il suo fazzoIetto – infelice chi ama per ambizione! ma il tuo cuore, o Lauretta, è fatto per la schietta natura: m'ascugo gli occhi, e torno sul far della notte alla mia casa.
      Che fai tu frattanto? torni errando lungo le spiagge e mandando preghiere e lagrime a Dio?


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Ultime lettere di Jacopo Ortis
di Ugo Foscolo
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