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      Né i suoi bilanci domestici gli assentivano di accasare Teresa con una gran dote, necessaria alle mediocri sostanze dell'Ortis. Il signore T*** mi scrisse queste cose, e le disse a Jacopo che sapeale da sé, e le ascoltò con aspetto riposatissimo; ma non sì tosto udì parlare di dote. No, lo interruppe, esule, povero, oscuro a tutti i mortali, mi vorrei sotterrar vivo anziché domandarvi vostra figlia in sposa. Sono sfortunato, non però vile. Né i miei figliuoli dovranno riconoscere mai la loro fortuna dalla ricchezza della loro madre. Vostra figlia è più ricca di me, ed è promessa. Dunque? rispose il signore T***. – Jacopo non fiatò. Alzò gli occhi al cielo, e dopo molta ora: O Teresa, esclamò, sarai a ogni modo infelice! O amico mio, gli soggiunse allora amorevolmente il signore T***, e per chi mai cominciò ad essere misera se non per voi? Erasi già per amor mio rassegnata al suo stato; e sola poteva rappacificare una volta i suoi poveri genitori. Vi ha amato; e voi che pure l'amate con sì altera generosità, voi pur le rapite uno sposo, e manterrete discorde una casa ove foste, e siete, e sarete sempre accolto come figliuolo. Arrendetevi; allontanatevi per alcuni mesi. Forse avreste trovato in altri un padre severo: ma io! – sono stato anch'io sventurato; ho provato le passioni, pur troppo! e ne provo – e ho imparato a compiangerle, perché sento io pure il bisogno d'essere compatito. Bensì da voi solo all'età mia quasi canuta ho imparato come alle volte si stima l'uomo che ci danneggia, massime se è dotato di tale carattere da far parere generosi e tremendi gli affetti che in altri pajoni colpevoli insieme e risibili.


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Ultime lettere di Jacopo Ortis
di Ugo Foscolo
pagine 175

   





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