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      Ma l'amico tuo non trova requie: spero sempre – domani, nel paese vicino – e il domani viene, ed eccomi di città in città, e mi pesa sempre più questo stato di esilio e di solitudine. – Neppure mi è conceduto di proseguire il mio viaggio: avea decretato di andare a Roma a prostrarmi su le reliquie della nostra grandezza. Mi negano il passaporto; quello già mandatomi da mia madre è per Milano: e qui, come s'io fossi venuto a congiurare, mi hanno circuito con mille interrogazioni: non avran torto; ma io risponderò domani, partendo. – Così noi tutti Italiani siamo fuorusciti e stranieri in Italia: e lontani appena dal nostro territoriuccio, né ingegno, né fama, né illibati costumi ci sono di scudo: e guai se t'attenti di mostrare una dramma di sublime coraggio! Sbanditi appena dalle nostre porte, non troviamo chi ne raccolga. Spogliati dagli uni, scherniti dagli altri, traditi sempre da tutti, abbandonati da' nostri medesimi concittadini, i quali anziché compiangersi e soccorrersi nella comune calamità, guardano come barbari tutti quegl'Italiani che non sono della loro provincia, e dalle cui membra non suonano le stesse catene – dimmi, Lorenzo, quale asilo ci resta? Le nostre messi hanno arricchiti nostri dominatori; ma le nostre terre non somministrano né tugurj né pane a tanti Italiani che la rivoluzione ha balestrati fuori dal cielo natio, e che languenti di fame e di stanchezza hanno sempre all'orecchio il solo, il supremo consigliere dell'uomo destituto da tutta la natura, il delitto!


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Ultime lettere di Jacopo Ortis
di Ugo Foscolo
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