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      E là mi pensava di essere tutto solo, o almeno sconosciuto a que' viventi che passavano; ma appena mi ridussi a casa, Michele il quale salì a ravviarmi il fuoco, mi venia raccontando, come certo uomo quasi mendico capitato poc'anzi in questa balorda osteria gli chiese, s'io era un giovine che avea già tempo studiato in Padova; non gli sapea dire il nome, ma porgeva assai contrassegni e di me e di que' tempi, e nominava te pure – Davvero, seguì a dire Michele, io mi trovava imbrogliato; gli risposi nonostante ch'ei s'apponeva: parlava veneziano; ed è pure la dolce cosa il trovare in queste solitudini un compatriota – e poi – è così stracciato! insomma io gli promisi – forse può dispiacere al signore – ma mi ha fatto tanta compassione, ch'io gli promisi di farlo venire; anzi sta qui fuori. – E venga, io dissi a Michele – e aspettandolo mi sentiva tutta la persona inondata d'una subitanea tristezza. Il ragazzo rientrò con un uomo alto, macilento; parea giovine e bello; ma il suo volto era contraffatto dalle rughe del dolore. Fratello! io era impellicciato e al fuoco; stava gittato oziosamente nella seggiola vicina il mio larghissimo tabarro; l'oste andava su e giù allestendomi da desinare – e quel misero; era appena in farsetto di tela ed io intirizziva solo a guardarlo. Forse la mia mesta accoglienza e il meschino suo stato l'hanno disanimato alla prima; ma poi da poche mie parole s'accorse che il tuo Jacopo non è nato per disanimare gl'infelici; e s'assise con me a riscaldarsi, narrandomi quest'ultimo lagrimevole anno della sua vita.


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Ultime lettere di Jacopo Ortis
di Ugo Foscolo
pagine 175

   





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