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      Possiamo dunque dire, il moto retto servire a condur le materie per fabbricar l'opera, ma fabbricata ch'ell'è, o restare immobile, o, se mobile, muoversi solo circolarmente; se però noi non volessimo dir con Platone, che anco i corpi mondani, dopo l'essere stati fabbricati e del tutto stabiliti, furon per alcun tempo dal suo Fattore mossi di moto retto, ma che dopo l'esser pervenuti in certi e determinati luoghi, furon rivolti a uno a uno in giro, passando dal moto retto al circolare, dove poi si son mantenuti e tuttavia si conservano: pensiero altissimo e degno ben di Platone, intorno al quale mi sovviene aver sentito discorrere il nostro comune amico Accademico Linceo; e se ben mi ricorda, il discorso fu tale. Ogni corpo costituito per qualsivoglia causa in istato di quiete, ma che per sua natura sia mobile, posto in libertà si moverà, tutta volta però ch'egli abbia da natura inclinazione a qualche luogo particolare; ché quando e' fusse indifferente a tutti, resterebbe nella sua quiete, non avendo maggior ragione di muoversi a questo che a quello. Dall'aver questa inclinazione ne nasce necessariamente che egli nel suo moto si anderà continuamente accelerando; e cominciando con moto tardissimo, non acquisterà grado alcuno di velocità, che prima e' non sia passato per tutti i gradi di velocità minori, o vogliamo dire di tardità maggiori: perché, partendosi dallo stato della quiete (che è il grado di infinita tardità di moto), non ci è ragione nissuna per la quale e' debba entrare in un tal determinato grado di velocità, prima che entrare in un minore, ed in un altro ancor minore prima che in quello; anzi par molto ben ragionevole passar prima per i gradi piú vicini a quello donde ei si parte, e da quelli a i piú remoti; ma il grado di dove il mobile piglia a muoversi è quello della somma tardità, cioè della quiete.


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Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo tolemaico e copernicano
di Galileo Galilei
Einaudi Torino
1970 pagine 608

   





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